Nella giornata di ieri ho avuto la fortuna di raccogliere le confidenze dal vivo di una persona che mi ha raccontato la propria esperienza personale ed io, colpita dal fatto di essermi ritrovata ancora davanti allo stesso tipo di storia, ho deciso di parlarne, omettendo tutti i dettagli che possano rendere identificabili in qualche modo i personaggi della faccenda, che mi è parsa esemplificativa nonché l’ennesimo non-casuale palesarsi di tutta una fenomenologia che caratterizza le vicende di una particolare lobby di padri separati.
La figlia di questa persona ha una relazione, priva di legame coniugale, ormai agli sgoccioli quando scopre di aspettare un bambino e decide di metterne a parte il padre, ormai lontano. Costui, interpellato telefonicamente, con una certa indifferenza, risponde: “Fai come ti pare”. La donna, allora, decide di portare a termine la gravidanza e di tenere l’ex compagno al corrente degli sviluppi. Lo chiama ad ogni occasione proponendogli di accompagnarla alle visite ginecologiche ed agli esami ma lui rifiuta sempre, adducendo scuse varie. è presente (per un pelo) al momento del parto. Nasce una bella bambina. Viene messa sullo stato di famiglia della madre, la quale chiede anche di poterle imporre il doppio cognome accostando cognome materno e paterno, richiesta alla quale l’uomo reagisce con veemente opposizione. Infine costui si eclissa nuovamente.
I primi anni di vita della piccola sono caratterizzati dall’assenza e dalla indifferenza dell’uomo, che non versa neppure un euro per il mantenimento della figlia, la cui cura è completamente affidata alla madre ed alla famiglia della madre. In seguito la donna decide di trasferirsi, di cambiare regione per consentire alla piccola di crescere in un ambiente più consono e più “a misura di bambino”. Da questo momento il padre (che pure precedentemente risiedeva ad una certa distanza dalla casa della ex fiamma) è colpito da un tardivo e belligerante istinto genitoriale e comincia a rivolgersi alle autorità, assume un atteggiamento arrogante ed aggressivo, pretende di vedere la piccola quando vuole, quanto vuole e di pagare il mantenimento che vuole.
Iniziano telefonate minacciose ed offensive, intimidazioni, invio di poliziotti in casa della ex per ogni motivo, denunce di ogni tipo verso lei ed i familiari di lei supportate da testimonianze fasulle per episodi mai verificatisi, minacce inviate attraverso terzi personaggi dall’aspetto poco raccomandabile, insomma, nulla è rimasto intentato allo scopo di impaurire la donna e la famiglia di lei e costringerla alla resa.
La madre chiede solo che la bambina, per la quale il padre è poco più di un estraneo, abbia modo di abituarsi un po’ alla volta alle disposizioni del tribunale che il padre riesce ad ottenere in virtù delle nuove leggi.
La bimba non ha piacere ad incontrare il padre, ogni volta fa i capricci, la madre è collaborativa al massimo e non reagisce mai ai comportamenti intimidatori dell’ex, anche per le pressioni della nonna materna, persona in cui prevale la tendenza all’atteggiamento accomodante.
Il padre della piccola, reagisce alla freddezza ed al malcontento della figlia chiamando, in presenza di lei, la madre al telefono e urlandole accuse, insulti, frasi mortificanti e minacce di ogni genere.
Neanche a dirlo (ma che strana coincidenza!) il signore in questione è iscritto ai classici movimenti per padri separati di cui non si fa che parlare, quei particolari gruppi che hanno fatto della linea aggressiva la propria bandiera, decidendo di fomentare i loro iscritti, di alzare i termini dello scontro esasperando i toni.
La vicenda si conclude con una schiacciante vittoria legale di lui, che ottiene di poter vedere la figlia tutti i week-end, di poter scegliere una festività tra Natale e Capodanno ed il versamento di soli 100 euro al mese per i bisogni della piccola.
100 euro al mese per una bambina che sta per iniziare ad andare a scuola dai certamente eccessivi 750 euro, inizialmente chiesti dal magistrato nella prima fase del dibattimento ( e, si specifica, erano soldi destinati al solo mantenimento della bambina, non chiesti dalla madre e non dovuti in alcun modo agli alimenti, non essendoci mai stato matrimonio ed essendo la suddetta una professionista con un buono stipendio) e il merito, purtroppo, non è neppure tutto da addebitarsi ai potenti mezzi della lobby dei padri separati ma anche ad una serie di autogoal, di sottovalutazioni della situazione, di permissivismo, di lassismo tipici di atteggiamenti femminili iper-tolleranti e di tendenza alla condiscendenza ed all’atteggiamento materno che le donne sembrano conservare universalmente nei confronti del genere maschile.
Altri particolari non posso aggiungerne ma è emerso dal racconto un desiderio da parte di lui di competere, primeggiare, vendicarsi. L’atteggiamento esaltato, intimidatorio, recriminatorio, pareva nascondere, più che altro, un desiderio di competizione con l’elemento femminile e di vendetta. Chissà, magari vendetta per essere stato abbandonato, visto il modo in cui alcuni uomini reagiscono al rifiuto femminile.
Ancora una volta, le nuove leggi sull’affido condiviso, l’atteggiamento generalmente favorevole ai padri, diventano un’arma da ritorcere contro le madri, un modo per saldare vecchi debiti di orgoglio, per vendicarsi, sottomettere, intimidire, creare disagio, aggredire a norma di legge, ridurre in schiavitù, impedire alle madri di rifarsi una vita o anche solo di disporre del proprio tempo liberamente, persino sentirsi liberi di urlare al telefono: “Fai schifo come madre!”.
Ancora una volta tutto questo accade perché noi stesse lasciamo che accada.
I bambini in queste storie sono le cause scatenanti ma, al tempo stesso, appaiono marginali. Non si considerano le loro esigenze, la loro sensibilità, i loro tempi di adattamento, le loro abitudini e divengono solo piccoli specchi in cui riflettere il proprio ego in un eterno: “ Tu a chi vuoi più bene: a mamma o a papà?”
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