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mercoledì 15 settembre 2010

La bambola di carne…

 L’orrore in questa notizia. Una donna ridotta in schiavitù, senza neppure cibo ed acqua. L’incredulità davanti all’indifferenza generale della gente…

VIOLENZA SESSUALE

Sequestrata e violentata per mesi
ragazza salvata dai carabinieri

La donna, 25 anni, sei mesi fa appena arrivata dalla Romania era stata ospitata da un connazionale. L'uomo ha subito iniziata a molestarla fino a chiuderla nella sua stanza senza acqua e cibo. Poi le violenze. L'irruzione dei militari dopo la denuncia dei vicini

stupro2 Maltrattamenti, lesioni, riduzione in schiavitù, sequestro di persona e violenza sessuale. Con queste accuse è stato arrestato un romeno di 45 anni dai carabinieri di Prima Porta.
L'uomo, sei mesi fa, aveva dato ospitalità ad una ragazza di 25 anni, sua connazionale appena giunta in Italia, nella sua casa di via Malegno. Da subito l'uomo ha molestato la donna, fino ad arrivare a chiuderla nella sua camera da letto per tutto il giorno, lasciandola senza la possibilità di comunicare con l'esterno per chiedere aiuto e, per lunghi periodi, senza acqua e cibo.
La donna era vittima di ogni tipo di molestia o violenza fisica a cui l'uomo, quotidianamente, la sottoponeva. La scorsa notte i vicini di casa, che da tempo ascoltavano impotenti le urla della giovane, hanno deciso di chiamare i carabinieri.
I militari hanno bussato alla porta dell'uomo e la donna è riuscita a farsi sentire. Quando si sono fatti aprire la porta della camera da letto i carabinieri hanno trovato la ragazza a terra, fortemente denutrita e con numerose ferite ed ecchimosi al volto e su tutto il corpo. Trasportata all'ospedale Sant'Andrea, la romena è stata ricoverata d'urgenza. Le sue lesioni sono state giudicate guaribili in 40 giorni. E' stato inoltre riscontrato un grave stato di deperimento. L'uomo è stato arrestato e portato nel carcere di Regina Coeli.

(15 settembre 2010)

Sequestrata e violentata per mesi ragazza salvata dai carabinieri - Roma - Repubblica.it

Che Paese è un Paese in cui rischiano di chiudere centri meravigliosi come questo?

Infanzia, due centri a rischio chiusura

La Regione non stanzia i fondi: verso il blocco delle attività dei "Children parking" di Montecalvario e Forcella. Senza assistenza 90 bambini stranieri dai 6 ai 10 anni. Protestano i genitori
di TIZIANA COZZI

Infanzia, due centri a rischio chiusura

Erano la speranza per le mamme di piccoli immigrati residenti al centro storico e con poche possibilità economiche. Il luogo sicuro dove lasciare i propri bambini dopo la scuola, quando i genitori sono ancora al lavoro. Un approdo che ora è in bilico. Sono a rischio chiusura i "Children parking", due centri per l'infanzia curati dell'associazione Quartieri Spagnoli, patrocinati dal Comune di Napoli, cofinanziati dalla Regione e dalla fondazione My Earth per le attività estive. La Regione quest'anno non ha stanziato i fondi necessari e i centri di Montecalvario e Forcella attendono con il fiato sospeso. Con loro, restano sulla corda anche le famiglie dei 90 bambini dai sei ai dieci anni, iscritti dallo scorso anno, e tutti gli altri che hanno già fatto domanda di iscrizione. Tra 10 giorni è previsto l'incontro con Severino Nappi, assessore regionale al Lavoro con delega all'immigrazione.
"Occorrono almeno 20 mila euro al mese - dice Giovanni Laino, progettista del "Children" - contenendo al massimo le spese ma offrendo un servizio di qualità fino a Natale. Con il blocco dei vecchi pagamenti e la riduzione dei contributi delle fondazioni, ci troviamo davanti all'impossibilità di accogliere i bambini che chiedono di venire al Children. Per il 2011 stiamo aspettando la valutazione dei progetti che abbiamo presentato". Per la prima volta, dopo 8 anni (nel 2002 il progetto fu avviato grazie al finanziamento della fondazione Banco di Napoli per l'assistenza all'Infanzia) e 500 bambini extracomunitari assistiti, i centri sono rimasti con le porte chiuse, una novità rispetto agli anni scorsi, quando partivano con l'inizio dell'anno scolastico. Sospese le attività al "Children parking" ospitato nei locali della scuola Paisiello ai Quartieri spagnoli, tutto fermo in quello accolto nella sede in via Annunziata. Nella stessa zona, resta chiuso un altro storico centro per l'infanzia "Nidi di mamme". Risultato: le famiglie sono disorientate.
E protestano: "Siamo tempestati dalle telefonate dei genitori dei piccoli - dice Maria Rosaria Sgobbo, coordinatrice del progetto - chiamano in continuazione per avere notizie. Molti aspettano la riapertura dei nostri centri per portare i bambini a scuola. Da soli non possono aspettarli all'uscita della scuola, non possono assisterli nel pomeriggio perché lavorano. Siamo noi a occuparcene. Così finirà che molti genitori non li manderanno nemmeno a scuola". I dodici operatori di Montecalvario hanno aiutato i bambini nello svolgimento dei compiti, li hanno accompagnati nelle attività all'aperto, alla scoperta dei musei e dei parchi della città. Da settembre a luglio, dal lunedì al venerdì. Un ventaglio di attività che ora rischia di fermarsi.

(15 settembre 2010)

Infanzia, due centri a rischio chiusura - Napoli - Repubblica.it

La violenza del possesso causa la morte di un giovane di 22 anni

0JHSNFDA--180x140 La violenza del possesso si ritorce anche contro i nuovi compagni delle donne perseguitate dai loro ex. Non è il primo caso, purtroppo non sarà l’ultimo.

Ricordiamo, ad esempio, quanto accadde a Regalbuto (Enna) la sera del 9 Maggio 2007 in cui Pietro Arena uccise Antonio Allegra, nuovo compagno della sua ex, Adele Sanfilippo, e prese questa in ostaggio, dopo averla malmenata, minacciando di farle fare la stessa fine dell’Allegra prima di arrendersi e consegnarsi alla polizia.

Oppure ricordiamo la vicenda di Antonio Faccini, individuo disturbato ed ex carabiniere che, dopo avere maltrattato lo moglie per anni (come testimoniano gli stessi parenti di lui), non sopporta l’idea che questa stia ricostruendosi una vita gettandosi alle spalle gli anni da incubo e decide di uccidere lei, la madre di lei ed il nuovo compagno con calcolo e sangue freddo.

Purtroppo, la storia stessa della società italiana è costellata di eventi come questo, riconducibili a concezioni patriarcali e fallocratiche del possesso della donna e della necessità di lavare nel sangue “l’onore”.

Questa volta lo stalking è stato il mezzo con cui la tragedia è stata portata a compimento, spingendo un giovane di 22 anni al suicidio e la sua compagna alla fuga.

Questo, c’è da scommetterci, è un suicidio di cui le aggressive campagne internettiane in difesa di alcuni padri separati, non terranno conto e non definiranno, nel loro ridicolo scimmiottare la casistica dei femminicidi, “maschicidio” se non, eventualmente, per volgerlo contro la donna, altra vittima della storia. Si sa, i maschilisti sanno che a morire sono gli uomini più delle donne ma fanno finta di non sapere che gli uomini sono uccisi a loro volta da altri uomini. Cos’è, quindi, questa strana legittimazione alla violenza all’interno dello stesso genere?

Costrinsero 22enne al suicidio
arrestata una coppia di stalker

Svelato il giallo di un suicidio a Taranto: il giovane si suicidò perché la nuova compagna fu costretta a lasciarlo dopo le intimidazioni del suo ex e di un complice. La ragazza, dopo il suicidio, è fuggita in un'latra località

Taranto - Questa mattina, gli agenti della Squadra Mobile di Taranto hanno arrestato Settimo Belfiore Smiraglia, di 29 anni e Fabio Stola, di 32 anni, con l'accusa di "stalking" in danno di una coppia di giovani conviventi, uno dei quali, un tarantino di appena 22 anni, lo scorso maggio, si suicidò, impiccandosi in un appartamento in via di ristrutturazione nel quartiere Tamburi. Gli investigatori della Squadra Mobile, guidati dal dr. Fabio Abis, sono partiti proprio da quel suicidio; a destare sospetto, la giovane età del suicida, l'atteggiamento fin troppo ostile manifestato dai parenti di quest'ultimo verso la sua compagna, la sparizione da Taranto della stessa.
E' stato necessario un paziente lavoro di investigazione per ricostruire i contorni di una vicenda dai toni assurdamente drammatici, mossa dalla gelosia verso una donna che, maltrattata per anni dal proprio convivente, si sarebbe vista negata la possibilità di rifarsi una vita con un nuovo compagno. In tal modo, la ventiseienne tarantina ha dovuto affrontare la rabbiosa reazione del proprio "ex", Settimo Belfiore Smiraglia, quando questi ha appreso della relazione sentimentale tra la donna ed un nuovo compagno.
Nella spirale di insensata violenza è stato immediatamente risucchiato il ventiduenne, colpevole di avere osato legarsi a quella donna, evidentemente ritenuta, dal suo precedente convivente, un oggetto di sua esclusiva proprietà: ancor più violenta è risultata l'azione dello Smiraglia contro costui, fatta di pestaggi e di altri terribili atti intimidatori, compiuti direttamente ovvero tramite emissari. Fabio Stola, che ospitava presso la sua abitazione la giovane coppia vittima delle vessazioni, li aveva poi allontanati entrambi, rimettendosi ai voleri di Smiraglia, e successivamente, complice dell'uomo nel compiere quegli atti intimidatori che avrebbero dovuto tranciare definitivamente il legame tra i due giovani. Alla fine, la giovane non ha retto ad una simile persecuzione ed ha lasciato il proprio compagno, che dopo qualche tempo, la sera del 24 maggio scorso, incapace di sopportare ulteriormente le vessazioni, si tolse la vita.
Eloquente il drammatico sms inviato dal ventiduenne alla madre, pochi minuti prima di suicidarsi, in cui il riferiva, disperato, di non avere più la forza di andare avanti e di volere raggiungere il proprio padre, defunto da tempo. La ragazza, sconvolta ed intimorita, saputo del suicidio, è fuggita in un'altra località. Gli elementi di prova raccolti dalla Squadra Mobile hanno consentito al pubblico ministero, Vincenzo Petrocelli, di chiedere al gip, Martino Rosati, l'emissione a carico di Smiraglia e Stola della misura cautelare in carcere.

Taranto, 15 Settembre 2010

Costrinsero 22enne al suicidio arrestata una coppia di stalker - Bari - Repubblica.it

Il caso di Sakineh Ashtiani Mohammadi e la mobilitazione internazionale che ne è seguita sono serviti a sottolineare ciò che le attiviste denunciavano da tempo, ovvero il tentativo sempre più aspro di smantellare i diritti delle donne.

In questo estratto, in particolare, si ravvisano i tratti comuni tra la campagna di Ahmadinejad e quella virale ed aggressiva portata avanti dalle associazioni neomaschiliste come Uomini3000 e Maschi Selvatici :” Nell’articolo Mir-Hosseini sostiene che "mentre la campagna è riuscita a forzare la struttura delle leggi volute da Ahmadinejad, che avrebbero reso la poligamia più facile per gli uomini e il divorzio più difficile per le donne, la potenza delle attiviste, leader nelle proteste di piazza contro i risultati elettorali del 2009, ha finito per rendere più evidente la rotta di collisione tra le richieste delle donne e il regime sempre più intransigente.”

Entrambe le campagne, sarà una coincidenza, mirano ai diritti delle donne nell’ambito familiare ed alla complicazione dell’iter del divorzio, che anche in Italia porta ad una sottrazione di autonomia e di tutela della salute, dell’incolumità e dei diritti della donna.

Da The guardian Iran: donne in prima linea nella lotta per i diritti- Il Paese delle donne on line

Un articolo pubblicato ieri sul quotidiano inglese "The Guardian" propone una interessante analisi sulla stretta connessione tra le battaglie per i diritti delle donne e quelle per la democrazia in Iran e spiega perché l’attacco alle attiviste stia diventando sempre più feroce.

Iran: women on the frontline of the fight for rights, è il titolo di un lungo articolo pubblicato sul quotidiano inglese "The guardian" lo scorso 12 settembre, a firma Peter Beaumont e Saeed Kamali Dehghan.
Tesi centrale dell’articolo è che, se negli ultimi 15 mesi in tutto il mondo l’opposizione al regime di Ahmadinejad viene identificata con volti di donna, è perché sono le donne quelle che hanno pagato di più.

L’articolo collega con un filo rosso le persecuzioni delle attiviste alla condanna di Sakineh, le cui storie incarnano differenti aspetti della situazione delle donne in quel paese e dimostrano come le iraniane che cadono nelle grinfie del regime possono essere accusate e imputate senza prove e senza garanzie di un processo giusto".

Ziba Mir-Hosseini, un attivista che vive a Cambridge, citata nell’articolo, sostiene che la attuale visibilità delle donne nella lotta tra "dispotismo e democrazia", è una conseguenza diretta della storia dei diritti delle donne in Iran.
Si tratta di una tensione, sostiene l’attivista, che è stata aggravata dall’atteggiamento contraddittorio della rivoluzione islamica del 1979 verso i diritti politici delle donne.
Infatti, dopo la caduta dello scià, il diritto di voto delle donne ha assunto un valore ironicamente più forte man mano che i loro diritti venivano erosi di nuovo sotto il pretesto rivoluzionario della "tutela dell’onore delle donne" rispetto al lassismo dei costumi voluto dalle leggi introdotte dallo scià che promuovevano una parità apparente.

I riformisti, continua Mir-Hosseini nell’articolo, hanno aperto uno spazio di operatività politica per le donne: "Mohammad Khatami, durante gli otto anni della sua presidenza riformista, ha infatti creato un Centro per la partecipazione della donna che ha visto il numero di ONG fwmminili in Iran aumentare da circa 45 a oltre 500."

La conseguenza, continua Mir-Hosseini, è stata che il femminismo - una parola che non poteva nemmeno essere pronunciate nei primi anni 1980 - ha potuto trovare nuovi spazi pubblici, legandosi fortemente alle nozioni di più ampi diritti umani, radicandosi nella nuova generazione di donne iraniane.

L’avvio della campagna One Million Signature, lanciata dalle veterane dei diritti delle donne nel 2006, un anno dopo l’elezione di Ahmadinejad ha aperto per la prima volta, una reale scena di confronto tra diritti e regime autocratico.

Nell’articolo Mir-Hosseini sostiene che "mentre la campagna è riuscita a forzare la struttura delle leggi volute da Ahmadinejad, che avrebbero reso la poligamia più facile per gli uomini e il divorzio più difficile per le donne, la potenza delle attiviste, leader nelle proteste di piazza contro i risultati elettorali del 2009, ha finito per rendere più evidente la rotta di collisione tra le richieste delle donne e il regime sempre più intransigente.

Secondo Maryam Namazie, nota attivista per i diritti umani e delle donne in particolare, anch’essa citata nell’articolo pubblicato da The Guardian, il fatto che le iraniane "siano state in prima linea nelle azioni di protesta del 2009, spiega perché i loro diritti sono tra gli obiettivi principali che il governo di Ahmadinejad tenta di colpire".

Prima di allora, sotiene Namazie nell’articolo, il risalto che i media internazionali avevano dato alle attiviste iraniane si limitava a Shirin Ebadi, ma con il 2009 è stato evidente ed innegabile il ruolo preminente delle donne che spesso sono state alla testa delle proteste anti regime. _Ciò è in parte dovuto all’effetto Neda, il cui video della morte è rimbalzato sugli schermi di tutto il mondo, ma se questo evento ha creato un clima di forte interesse per i manifestanti (spesso giovani donne), il giro di vite imposto da Ahmadinejad su tutte le attiviste ha finito per ritorcerglisi contro.
Allo stesso modo il caso di Sakineh Ashtiani Mohammadi, e la mobilitazione internazionale che ne è seguita, è servita a sottolineare ciò che le attiviste denunciavano da tempo: ovvero il tentativo sempre più aspro di smantellare i diritti delle donne.

I casi di Shadi Sadr, Shiva Nazar Ahari e Mahboubeh Abbasgholizadeh, come denuncia l’Iran Human Rights Documentation Centre (IHRDC), sono stati usati per tentare di smantellare il movimento per i diritti delle donne, sotto la copertura di presunte ragioni di sicurezza nazionale.

Non ci sono indicazioni che la campagna contro le donne attiviste si stia attenunado, ma quel che è certo, conclude l’articolo, è che questa sovrapposizione socialmente molto potente dei diritti delle donne con la riforma democratica è qualcosa che Ahmadinejad ed i suoi sostenitori sono determinati ad interrompere.

lunedì 13 settembre 2010

di Redazione

Diritti delle donne e democrazia. Un connubio insolubile - Il Paese delle donne on line

La “banalità” della violenza sulle donne | Il Fatto Quotidiano

 

La “banalità” della violenza sulle donne

violenza_domesticaIeri mattina ho visto un uomo che sputava in faccia a sua figlia di sedici anni. Era un uomo sulla quarantina, grande e grosso, coi lombi pieni che sbordavano da una maglietta gialla, una voce viscosa, grave e dura, le sopracciglia fitte e immerse in qualcosa che presumo fosse odio, veleno, insofferenza. Non so quale fosse la colpa della ragazzina, nessuno tra i testimoni della turpe scena l’ha capito. Lei seguiva l’uomo con lo sguardo curvo sul pavimento del centro commerciale, senza dire una parola, senza levare una sola frase a sua discolpa, come se tutto fosse già scritto in un assortimento di regole familiari mandate a memoria dalla notte dei tempi. Lui ha dapprima inveito contro di lei, ingigantendosi al suo cospetto come un orso terrificante e minaccioso. Poi, al culmine di quel disprezzo, ha scagliato la sua saliva contro il viso della ragazza, e infine si è voltato come se niente fosse, ha accelerato il passo e si è avviato verso le scale mobili, disperdendosi nella folla dello shopping. La ragazza, da parte sua, si è ripulita la faccia con il palmo della mano. Il suo gesto però era pieno di rassegnazione, ma anche di qualcosa che potrebbe essere tradotto con la parola indifferenza, come se lo sputo dell’uomo non fosse quella linfa acida di odio, bensì uno spruzzo di pioggia caduto dal cielo, o una goccia d’acqua scaturita da una grondaia. E così la ragazzina di sedici anni, con l’espressione del viso solo lievemente avvilita, ha continuato a seguire l’uomo (il genitore, o il padrone, o qualsiasi cosa egli fosse) in quella ordinaria passeggiata domenicale.
Di fronte a scene di questo tipo ripenso spesso alle riflessioni di Hannah Arendt  sul male e la sua banalità, in particolare all’affermazione che il male peggiore compiuto dagli uomini riguarda la sfera del banale e non piuttosto – come sovente si è portati a credere – quella della metafisica. La Arendt poneva queste riflessioni in rapporto al processo Eichmann e più in generale all’antisemitismo nazista, ma credo che l’aspetto della banalità del male possa essere identificato anche nei casi di violenza come quello che ho appena descritto. Cosa c’è, del resto, di più banale di una passeggiata in un centro commerciale una domenica mattina, di un diverbio forse relativo a un regalo di compleanno, o allo sguardo interessato rivolto da un ragazzino di passaggio, o in ogni caso a qualcosa non più grave di questo? E cosa c’è di più banale della brutalità di un uomo che intende “dare una lezione” pubblica a questa adolescente colpevole di niente e di cui evidentemente conosce alla perfezione l’incapacità di reagire e l’assuefazione alla violenza?
Spesso si sente citare il famoso rapporto di Amnesty International che indica lo stupro e la violenza domestica fra le prime dieci cause e fattori di rischio considerati per la morte e la disabilità di donne fra i 15 e i 44 anni, cause maggiori anche del cancro e degli incidenti stradali. Tuttavia, ciò di cui non parlano i rapporti ufficiali è quel genere di violenza “immateriale”, psicologica, che tende a soggiogare e ad asservire la donna secondo il più barbaro e primitivo dei principi umani: il primato del maschio sulla femmina. Questo tipo di violenza non è relegato al solo ambito delle mura di casa, è radicato nella società, è nelle strade, negli uffici, nei luoghi pubblici, è “banale” perché visibile a tutti, riconoscibile, evidente, palese. Questo genere di male forse non arriva a uccidere fisicamente, ma annulla le personalità, incide sui caratteri, annichilisce l’essenza di una persona. Molte donne probabilmente non sanno neppure di essere vittime di questi abusi, spesso ignorano di essere l’oggetto di una vera e propria strategia di distruzione, verosimilmente ritengono che la vera violenza sia di un altro genere. Del resto, rappresentazioni di sottomissione come queste sono alla base della nostra società, passano nelle televisioni commerciali, vengono usate in maniera subliminale per stimolare la vendita di prodotti in ambito pubblicitario. La “banalità” della violenza sulle donne sta nel fatto che essa rappresenta di per sé uno dei cardini su cui è fondata l’Età dell’apparenza, l’epoca storica in cui viviamo.
Ma la ragazzina di sedici anni che ho visto io non sa niente di tutto questo. Nelle domeniche che verranno accompagnerà ancora suo padre a fare la spesa, crescerà e diventerà una donna, poi arriverà il giorno in cui laverà il corpo di suo padre, perché nel frattempo lui sarà diventato troppo vecchio per farlo da solo, e verso di lui proverà perfino riconoscenza, perché nel frattempo avrà imparato un sacco di cose. Per esempio che uno sputo non lascia lividi né tracce. Che attraverso uno sputo non passa il dolore.

13 Settembre 2010, Andrea Pomella, Il Fatto Quotidiano

La “banalità” della violenza sulle donne | Il Fatto Quotidiano

L’obbligo di frequentazione dal punto di vista di una figlia

Questa è un’esperienza personale, ovviamente è solo una e rappresenta il punto di vista di un’adulta che riporta ricordi di infanzia ed adolescenza, ma serve a ricordarci che la situazione dei padri separati (senza, naturalmente generalizzare) non è poi romantica come viene descritta dalle loro associazioni.

Ci vanno sempre di mezzo… le madri.

Grazie all’Asociale, che mi ha segnalato questa notizia sul portiere del Brescia che dedica la sua vittoria ai figli che non può vedere (lo so, ti avevo detto che non l’avrei letta, ma non ce l’ho fatta).

Non commenterò la notizia, perché sinceramente di ribadire quanto siano inutili certi servizi del telegiornale o del quotidiano di turno, mi sono rotta le scatole.

Vi voglio raccontare cosa vuol dire quando tuo padre dà pubblicamente colpa a tua madre se tu non lo vuoi più vedere.

Sono figlia, e vi posso raccontare quella che è la mia esperienza, in realtà comune a molti e molte bambine e bambini e adolescenti.

Vedi per una vita tuo padre che fa quello che gli pare: viene e va. Il grave è quando resta, e cioè quando pretende di esercitare un qualche controllo sulla tua vita, nonostante tu abbia ormai raggiunto la maggiore età, e lui sia assente dalla tua da anni; e se tuo padre si assenta durante la tua adolescenza, dovrebbe avere la maturità di capire che casomai un riavvicinamento deve ripartire da te, che sei sua figlia, e non da lui, che ti pretende come un diritto, come una cosa, alla fine, piangendo al telefono, e dicendoti che sono due anni che non ti vedo.

Allora tu, da tuo padre, ci vai, una volta. Ci vai perché tua madre ti dice che anche se ha fatto quello che ha fatto, ti prego, vacci. Ci vai quindi per lei. Perché sai che poi tuo padre rompe i coglioni a tua madre, e tu non lo vuoi.

Entri in casa sua, dove ha una nuova moglie, e pure un nuovo figlio. Stesso schema a tre. Ti vede, ti saluta, ti chiede un bacetto, come se avessi sei anni. Per tutta la cena non parla, e tu, che sei più o meno adolescente, ti chiedi come mai lui si comporta come un bambino.
Sua moglie è simpatica, in fondo, parla, ti chiede di te, di cosa ti piace fare. Sa che non sei una minaccia a niente.
Il figlio ti chiama sorellona, ti fa vedere i suoi giochi, chiama tuo padre papà, forse com’è giusto che sia, così come lo è che tu lo chiami per nome.

Tuo padre nel frattempo ha finito di mangiare da ore, è scivolato sul divano, davanti ad uno schermo grande quanto un frigorifero messo per orizzontale, a guardare l’ultima cagata di Antonio Ricci.

Non ti parla per tutta la sera. Ad un certo punto ti squilla il cellulare: è la tua amica, vuole sapere se potevate fare qualcosa insieme. Lui urla di spegnerlo, e poi ti chiede se è quella rompicoglioni di tua madre.

Tu ti incazzi, e gli vedi ritornare gli occhi piccoli e violenti di quando si piazzava davanti al cancello di casa aspettando che uscissi, tu o qualche parente tuo, quando vi impediva di svolgere una vita normale. Eri piccola, ma sentivi che non era normale, con quella sua faccia da ossesso disperato. Non era normale che fosse arrivato a minacciare tuo nonno, per esempio.

Ora sei grande, non hai più undici anni, e non c’è nessuno a dirti dove devi andare e con chi. Non credi più alla romanticoide versione del è sempre tuo padre. Te ne vai da casa sua, coi tuoi pochi, ma sufficienti anni, per capire che tuo padre ha smesso di essere tale nel momento in cui ha messo in piazza (fisica o virtuale che sia) una questione personale, che non ti prevedeva più come soggetto pensante, ma come semplice oggetto di fruizione, indipendentemente dal tuo volere, dalla tua volontà. Tuo padre ha smesso di essere tale, semplicemente, quando picchiava te, tua madre e minacciava tuo nonno. Ha smesso di essere tale quando in tribunale diceva di voler instaurare un rapporto con te, di voler iniziare a fare il padre, e per farlo ti prelevava, proprio come si fa con un detenuto, due volte al mese, e ti portava da mecdònald, per poi portarti in giro con la sua nuova fidanzata di appena vent’anni.

Ha smesso di essere tuo padre, quando ha iniziato a fare il pagliaccio per cercare di farti dimenticare tutto quello che ti ha fatto in anni e anni di andirivieni.

Per questo vorrei dire a Repubblica di informarsi su certe realtà, prima di descrivere con il tono alla mariadefilippi i “padri [che] sfilano cullando bambolotti che simboleggiano i bimbi contesi, e forse perduti“.

Ricordate una cosa: un padre, che ha sempre rispettato le persone e gli animali che vivevano con lui, non ha mai bisogno di contendere. Un padre contende qualcosa nel momento in cui non considera più il proprio figlio una persona, ma una cosa.

E, fidatevi, ce ne sono veramente tanti.

This entry was written by Lady Losca, posted on 13/09/2010 at 12:42


Ci vanno sempre di mezzo… le madri. – pausa/pausa/ritmo.lento