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giovedì 26 giugno 2014

Le prostitute vanno pagate. La sentenza sancisce il diritto al pagamento


La storia è questa: una giovanissima nigeriana prostituita non ottiene il pagamento ed invia una serie di messaggi pieni di ovvia rabbia e probabile intimidazione al cellulare dell’uomo che l’aveva precedentemente usata e si era poi rifiutato di corrisponderle il risarcimento pattuito.
Lui la denuncia per estorsione. Si va a giudizio. La sentenza assolve la donna dal reato di estorsione (dai 6 ai 20 anni di reclusione), derubrica il reato a “violenza privata”, condannando la signora a 4 mesi di carcere, ammette la presenza del vuoto normativo che ha consentito all’uomo di rifiutarsi di pagare il risarcimento, sancisce il guadagno della donna come giusto e afferma qualcosa di rivoluzionario per la morale italiana: la disparità di potere tra la donna prostituita ed il compratore della “prestazione” sessuale.
Assolvendo la donna dall’estorsione, legittima la sua richiesta di pagamento. La condanna riguarda solo la modalità esasperata con cui questa richiesta è avvenuta.

Leggo ed il Messaggero riportano la vicenda con un titolo simile, dal potenziale altamente fuorviante perché insiste su un dato di fatto preesistente alla sentenza  e dalla sentenza semplicemente riportato alla luce:
ad oggi, purtroppo, non esiste legge che obblighi il “cliente” a pagare la prostituta.
Ciò non equivale al consenso di rifiutare il pagamento alla donna prostituita, altrimenti questa sarebbe stata incriminabile per estorsione. Richiedere il pagamento non è estorsione ma giusto profitto.
La sentenza, quindi, stabilisce esattamente il contrario e cioè che la richiesta da parte della prostituta è giusta e va rispettata e che il “cliente” gode di una posizione di potere che lo privilegia.

Questo il titolo del Messaggero. L’articolo relativo lo trovate cliccando qui.

Messaggero prostituta pagamento

Questo è il titolo di Leggo. L’articolo relativo lo trovate qui.

Leggo rifiuto pagamento prostituta 1

martedì 24 giugno 2014

Trogloditi alle urne. Insulti ed auguri di stupro alle politiche. Stavolta tocca a Boschi.


Continua la gogna mediatica come strumento per sobillare l’ira tra i grillini. Dopo  laura Boldrini, Maria Novella Oppo, Laura Boldrini,  Gad Lerner, Laura Boldrini la vignettista Laura Pellegrini (Ellekappa), tanti altri giornalisti, editorialisti o personaggi politici e Laura Boldrini, in questi giorni è il turno della ministra Boschi.
Non mi addentro nella questione. Non voglio sapere perché si sia guadagnatail suo giro di gogna, sono disinteressata completamente a questo governo, che non credo mi rappresenti né ci rappresenti.
Però sono stata a fare un giretto tra i commenti per un rapido reportage.
Ecco quello che ho letto:

Boschi 9

Si parte dai classici bottana e bagascia…

Boschi 3

Si passa per i classici del sessismo per cui una donna, soprattutto se bella, non è capace di fare politica ma solo “qualcos’altro”, ovvero, è buona solo come oggetto sessuale.
E meno male che è “gnocca”, ovvero una grande vagina ambulante che si userebbe volentieri.

Boschi 5

Una bella donna non può che essere una velina e così insultiamo politiche e veline e usiamo pure quel moralismo che viene sempre citato a sproposito dai falsi  libertari e dalle false libertarie.

Boschi 6

“Aveva ragione Battiato” e qui si insinua che se una donna arriva a fare la ministra non è per merito ma perché si è fatta usare come oggetto sessuale. Avevamo ragione noi ad arrabbiarci per l’uscita infelice di Franco Battiato, che è diventato addirittura un sostegno intellettuale di media misoginia ed ignoranza.

mercoledì 18 giugno 2014

IL caso Motta Visconti. Chi agisce, sceglie.

Mi dispiace che ci debbano rimettere la vita donne e bambini innocenti per dimostrare che viviamo in una società menzognera, che cancella sistematicamente e mistifica ciò che risulta scomodo.
Se non sono bastati centinaia di femminicidi ogni anno per evidenziare ciò che puntualmente viene rimosso, il caso della strage familiare di Motta Visconti ha, ancora una volta, dimostrato che:

1) La disoccupazione non è la causa del femminicidio e del figlicidio: l'assassino aveva un lavoro sicuro in una multinazionale.

2) L'ignoranza non è una causa del femminicidio e del figlicidio: l'assassino è laureato.

3) La provocazione non è la causa del femminicidio: non c'era stata alcuna lite precedente. Non si può tirare in ballo il pretestuoso ed inesistente “raptus”. Il triplice delitto è frutto di gelida premeditazione.

4) Il rifiuto dell'atto sessuale non è la causa del femminicidio: l'assassino ha persino ingannato ed usato la vittima facendoci sesso prima di pugnalarla. Forse per tranquillizzarla o per depistare le indagini. La vittima è stata ingannata ed utilizzata prima di essere eliminata.

Femminismofobia: la “retorica femminista” inventata e la censura della violenza di genere

La portata rivoluzionaria del femminismo, rispetto alle menti semplici che elementarizzano ogni concetto, va proprio nel senso opposto rispetto alla banalizzazione. Con questi presupposti non ci possiamo aspettare che i nostri contenuti siano universalmente compresi ed universalmente condivisi. Ci dovremmo, però, aspettare che i nostri contenuti non siano ricostruiti artificiosamente col rischio di attribuire a normali cittadine, a persone come tutte le altre, pensieri che non hanno mai formulato neppure mentalmente, parole che non hanno mai pronunciato, concetti mai messi per iscritto. La conseguenza di questo sistematico processo è la femminismofobia, la quale è funzionale al terrorismo psicologico messo in atto sulle donne affinché non perseguano i propri diritti, non comprendano le ingiustizie che subiscono e si sottomettano docilmente ed autonomamente.
Presto o tardi rivedremo le streghe sui falò, come avviene ancora in Papua Nuova Guinea.
In attesa di biscottare sul mio personale falò, allora, vorrei ancora una volta tentare di spiegare concetti forse ostici in epoca di analfabetismo di ritorno o di analfabetismo funzionale. E anche la perfetta conoscenza grammaticale non sostituisce l’ignoranza semantica.
”Vittima” non è in alcun modo sinonimo di “essere angelicato, puro, innocente, senza macchie, irreprensibile”. Vittima è chi subisce una violenza o un sopruso, indipendentemente da quanto il suo carattere fosse sopportabile.
Che “vittima” non sia sinonimo di “debole, incapace di difendersi, incapace di autodeterminarsi, pavida, fragile” e via dicendo, si è tentato di spiegarlo più e più volte.