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mercoledì 15 settembre 2010

L’obbligo di frequentazione dal punto di vista di una figlia

Questa è un’esperienza personale, ovviamente è solo una e rappresenta il punto di vista di un’adulta che riporta ricordi di infanzia ed adolescenza, ma serve a ricordarci che la situazione dei padri separati (senza, naturalmente generalizzare) non è poi romantica come viene descritta dalle loro associazioni.

Ci vanno sempre di mezzo… le madri.

Grazie all’Asociale, che mi ha segnalato questa notizia sul portiere del Brescia che dedica la sua vittoria ai figli che non può vedere (lo so, ti avevo detto che non l’avrei letta, ma non ce l’ho fatta).

Non commenterò la notizia, perché sinceramente di ribadire quanto siano inutili certi servizi del telegiornale o del quotidiano di turno, mi sono rotta le scatole.

Vi voglio raccontare cosa vuol dire quando tuo padre dà pubblicamente colpa a tua madre se tu non lo vuoi più vedere.

Sono figlia, e vi posso raccontare quella che è la mia esperienza, in realtà comune a molti e molte bambine e bambini e adolescenti.

Vedi per una vita tuo padre che fa quello che gli pare: viene e va. Il grave è quando resta, e cioè quando pretende di esercitare un qualche controllo sulla tua vita, nonostante tu abbia ormai raggiunto la maggiore età, e lui sia assente dalla tua da anni; e se tuo padre si assenta durante la tua adolescenza, dovrebbe avere la maturità di capire che casomai un riavvicinamento deve ripartire da te, che sei sua figlia, e non da lui, che ti pretende come un diritto, come una cosa, alla fine, piangendo al telefono, e dicendoti che sono due anni che non ti vedo.

Allora tu, da tuo padre, ci vai, una volta. Ci vai perché tua madre ti dice che anche se ha fatto quello che ha fatto, ti prego, vacci. Ci vai quindi per lei. Perché sai che poi tuo padre rompe i coglioni a tua madre, e tu non lo vuoi.

Entri in casa sua, dove ha una nuova moglie, e pure un nuovo figlio. Stesso schema a tre. Ti vede, ti saluta, ti chiede un bacetto, come se avessi sei anni. Per tutta la cena non parla, e tu, che sei più o meno adolescente, ti chiedi come mai lui si comporta come un bambino.
Sua moglie è simpatica, in fondo, parla, ti chiede di te, di cosa ti piace fare. Sa che non sei una minaccia a niente.
Il figlio ti chiama sorellona, ti fa vedere i suoi giochi, chiama tuo padre papà, forse com’è giusto che sia, così come lo è che tu lo chiami per nome.

Tuo padre nel frattempo ha finito di mangiare da ore, è scivolato sul divano, davanti ad uno schermo grande quanto un frigorifero messo per orizzontale, a guardare l’ultima cagata di Antonio Ricci.

Non ti parla per tutta la sera. Ad un certo punto ti squilla il cellulare: è la tua amica, vuole sapere se potevate fare qualcosa insieme. Lui urla di spegnerlo, e poi ti chiede se è quella rompicoglioni di tua madre.

Tu ti incazzi, e gli vedi ritornare gli occhi piccoli e violenti di quando si piazzava davanti al cancello di casa aspettando che uscissi, tu o qualche parente tuo, quando vi impediva di svolgere una vita normale. Eri piccola, ma sentivi che non era normale, con quella sua faccia da ossesso disperato. Non era normale che fosse arrivato a minacciare tuo nonno, per esempio.

Ora sei grande, non hai più undici anni, e non c’è nessuno a dirti dove devi andare e con chi. Non credi più alla romanticoide versione del è sempre tuo padre. Te ne vai da casa sua, coi tuoi pochi, ma sufficienti anni, per capire che tuo padre ha smesso di essere tale nel momento in cui ha messo in piazza (fisica o virtuale che sia) una questione personale, che non ti prevedeva più come soggetto pensante, ma come semplice oggetto di fruizione, indipendentemente dal tuo volere, dalla tua volontà. Tuo padre ha smesso di essere tale, semplicemente, quando picchiava te, tua madre e minacciava tuo nonno. Ha smesso di essere tale quando in tribunale diceva di voler instaurare un rapporto con te, di voler iniziare a fare il padre, e per farlo ti prelevava, proprio come si fa con un detenuto, due volte al mese, e ti portava da mecdònald, per poi portarti in giro con la sua nuova fidanzata di appena vent’anni.

Ha smesso di essere tuo padre, quando ha iniziato a fare il pagliaccio per cercare di farti dimenticare tutto quello che ti ha fatto in anni e anni di andirivieni.

Per questo vorrei dire a Repubblica di informarsi su certe realtà, prima di descrivere con il tono alla mariadefilippi i “padri [che] sfilano cullando bambolotti che simboleggiano i bimbi contesi, e forse perduti“.

Ricordate una cosa: un padre, che ha sempre rispettato le persone e gli animali che vivevano con lui, non ha mai bisogno di contendere. Un padre contende qualcosa nel momento in cui non considera più il proprio figlio una persona, ma una cosa.

E, fidatevi, ce ne sono veramente tanti.

This entry was written by Lady Losca, posted on 13/09/2010 at 12:42


Ci vanno sempre di mezzo… le madri. – pausa/pausa/ritmo.lento

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