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martedì 12 ottobre 2010

"Donne Assassinate" di Ruben de Luca (intervista all’autore,seconda parte) – III

Di seguito alla presentazione del libro, uscito  a Gennaio 2009, riporto volentieri l’intervista in due parti all’autore, ad opera di Arianna Ascione. Vi troveremo le risposte alle domande che sono nate più o meno nella testa di tutti, soprattutto in occasione degli ultimi e più cruenti fatti di cronaca e del costante peggioramento del fenomeno. Capiremo perché alcuni casi destano attenzione più di altri e quali molle psicologiche spingono alcuni uomini ad esercitare violenza sulle donne fino alle estreme conseguenze.

"Donne Assassinate": l'analisi del femminicidio secondo Ruben de Luca. Seconda parte dell'intervista

Pubblicato da Arianna Ascione, Blogosfere staff alle 08:00 in Libri

stalkingdonne.jpgContinua la nostra intervista a Ruben de Luca sul suo libro, "Donne Assassinate"

Escludendo i delitti commessi da serial killer o sconosciuti, c'è qualche segno distintivo della potenziale pericolosità di compagni o fidanzati?

"Eccome se ci sono i segnali di pericolo! Ci sono praticamente sempre, non è che un fidanzato, un compagno o un marito si alzi la mattina e decida di uccidere all’improvviso. Il triste problema è che, spesso, la donna si rifiuta di vedere questi segnali oppure, ancora peggio, li vede ma non dà loro la giusta importanza perché cerca, in qualche modo, di giustificare il compagno, di difenderlo, in sostanza di “preservare l’immagine positiva di lui” che le permette di mandare avanti il rapporto. Le donne investono sempre tantissima energia in una storia, se si innamorano, ed essere costrette, a un certo punto, a confrontarsi con la possibilità di aver sbagliato tutto e di non esser state in grado di valutare correttamente la personalità del proprio compagno può essere una realtà dalla quale si cerca di sfuggire in ogni modo, anche a costo di negare la realtà. Nessuna donna dovrebbe accettare un rapporto in cui è sempre il compagno a dettare le regole. Uno dei segnali da “allarme rosso”, ad esempio, è se l’uomo cerca progressivamente di isolare la compagna dal mondo esterno, da tutto ciò che non è lui, quindi le impedisce di vedere gli amici, di avere attività di vario genere che la portino a trascorrere del tempo senza di lui, persino di vedere i genitori. L’uomo manipolatore e lo psicopatico tentano con tutti i mezzi di costruire un rapporto “fusionale” con la donna e non perché siano realmente innamorati di lei, ma solo perché vogliono mantenerla sotto controllo per tutta la giornata. Il problema è che, all’inizio della relazione, l’uomo si presenta mostrando un lato gentile e premuroso, da perfetto “principe azzurro” che conquista la donna e, solo quando è assolutamente sicuro che lei è perdutamente innamorata di lui, inizia a far trapelare il suo lato controllante. Ma le prime richieste sono sempre portate avanti con dei modi ambigui, per cui la donna non è in grado di riconoscere subito la minaccia. Ad esempio, se la donna dice: “Domani sera vado a cena con le mie amiche”, il manipolatore non sbotta in maniera apertamente aggressiva dicendo frasi del tipo: “No, tu non esci di casa”, ma usa espressioni molto più subdole per far nascere nella compagna un senso di colpa, tipo: “Ah, proprio domani sera. Stavo organizzando una cenetta romantica a lume di candela solo noi due. Amore, ti prego, stavo pensando a questa cosa da tanti giorni, non puoi rimandare il tuo impegno?”. Le frasi possono variare ovviamente, ma il senso è sempre lo stesso: far insorgere un senso di colpa recitando la parte dell’uomo devoto che vive in funzione di lei ed è pieno di pensieri carini. “Proprio” quella sera, lui ha organizzato un momento di intimità per entrambi, quindi lei si sentirebbe in difetto a rovinarglielo... Naturalmente, andando avanti il rapporto, quando l’uomo si sente sempre più sicuro di avere il controllo della situazione, l’aggressività diventa più manifesta e cresce esponenzialmente. Un segnale che bisognerebbe sempre prendere molto sul serio è quando aggressività e violenza aumentano nel tempo: prima l’uomo usa velate minacce contro la compagna, poi le minacce si fanno più evidenti, poi iniziano a volare i primi schiaffi ai quali fa seguito un’immediata richiesta di perdono perché “amore scusami, sono stressato, ho problemi al lavoro, sta male mia madre, ecc., ma non lo farò più, te lo giuro, non so cosa mi è preso, stammi vicino, ti prego”. E la violenza diventa più frequente e i momenti in cui tutto fila liscio, invece, diventano sempre più rari. L’uomo che non sa accettare dei “no”  e che non rispetta gli spazi di autonomia della donna è un uomo potenzialmente pericoloso e, soprattutto, se un uomo alza le mani una volta sulla propria compagna, sarà in grado di farlo anche altre volte e non va assolutamente perdonato, né giustificato.
Tutti gli altri segnali di pericolo sono elencati e spiegati diffusamente nel capitolo 7 del mio libro, capitolo che consiglio vivamente a tutte le donne di leggere con estrema attenzione"

Negli ultimi anni abbiamo assistito a omicidi commessi anche da giovanissimi (come a Niscemi, ma ricordo anche la Piovanelli), cosa scatta nella mente di un ragazzino fino a portarlo a un omicidio del genere?

"L'omicidio di Lorena Cultraro a Niscemi è uno dei casi che più mi ha sconvolto per la brutalità e la gratuità del gesto. Spesso, i ragazzini esercitano la violenza in branco, così si rafforzano e spalleggiano a vicenda. Spesso, si tratta di azioni commesse per “noia”, che è davvero una motivazione allucinante, magari perché non si sa come passare il tempo, oppure come rito di passaggio “per sentirsi uomini”. E poi un elemento ricorrente è la mancata valutazione delle conseguenze concrete delle proprie azioni dovuta all’immaturità mentale tipica dei giovani e al fatto che la maggior parte di essi vivono gran parte del loro tempo in un mondo virtuale piuttosto che in quello reale, magari imbottiti di videogiochi nei quali le persone vengono uccise e, dopo qualche istante, sono di nuovo in azione. Quando si verifica un caso del genere, la cosa che trovo più irritante è l’atteggiamento di certi genitori che tendono a giustificare in qualche modo le azioni del figlio, magari usando la famosa frase che mi fa venire l’orticaria ogni volta che la sento: “è solo un ragazzo, non si rendeva conto di quello che faceva”. Chissenefrega che è “solo” un ragazzo, questo tentativo costante di deresponsabilizzazione è la cosa più dannosa. Facci caso, ogni volta che avviene un grave fatto criminale si sente sempre il solito ritornello: “non si rendeva conto, era sotto l’influsso dell’alcol o della droga”, ecc. Ma semmai queste sono aggravanti, non attenuanti perché l’hai scelto di ubriacarti o di drogarti, per cui adesso è giusto che paghi. In sostanza, credo che tanto il ragazzino quanto il criminale adulto debbano scontare per intero una condanna, anche per una forma di rispetto nei confronti delle vittime e dei loro parenti che, troppo spesso, sono presi in giro da un sistema giudiziario che tutela molto di più i criminali delle vittime. E i genitori dovrebbero ricominciare a fare i genitori, a dare regole e limiti ai propri figli e smetterla di cercare a tutti i costi di “fare gli amici” per mettersi sullo stesso piano, perché così i ragazzi crescono pensando di potersi permettere qualsiasi cosa senza dover pagare pegno"

Ci sono invece ancora molti casi irrisolti di femminicidio, che tipo di interesse si scatena nel pubblico tanto da trasformare un caso come Garlasco (o come quello di via Poma anni fa) in una specie di show in cui tutti sembrano trasformarsi in "piccoli detective"?
"Questo succede perché siamo tutti un po’ voyeur e ci piace troppo ficcare il naso nelle vite degli altri. Aggiungi quel pizzico di morbosità per cui molte persone hanno delle piccole, squallide e noiose vite nelle quali la noia regna sovrana e l’unico modo per provare un po’ di eccitazione è assistere da spettatori a un fatto di sangue e il gioco è fatto. E i mezzi d’informazione non fanno altro che alimentare quotidianamente questa morbosità con trasmissioni che praticamente campano su alcuni casi di cronaca nera e li ripropongono fino allo sfinimento in ogni singola sfaccettatura. E mettiamoci dentro anche i miei colleghi “criminologi”, anzi quelli che Aldo Grasso, il famoso critico televisivo, ha definito “criminologi da salotto”, che vanno nelle suddette trasmissioni televisive a dire una serie di banalità senza confini, frasi vuote prive di significato spacciandosi per esperti quando poi di criminologia ne sanno ben poco. Tutti questi “figuri” non fanno altro che alimentare l’ossessione per il morboso e la ritualizzano in una carnevalata costante che entra nelle case di ognuno di noi. E poi di alcuni casi veramente non se ne può più.

Invito te e tutti gli utenti del blog a fare un piccolo test: andate in una libreria e sfogliate tutti i libri dedicati a omicidi di donne avvenuti in Italia, immancabilmente troverete uno spazio dedicato al delitto di via Poma o a quello dell’Olgiata, senza che in realtà ci sia poi nulla di nuovo da dire. Molti autori fanno “copia e incolla” sempre delle solite solfe, sempre i soliti resoconti cambiando solo un po’ le parole. Nell’introduzione del mio libro, infatti, spiego che ho inserito anch’io questi due casi su esplicita richiesta dell’Editore. Se fosse stato per me, non li avrei trattati non avendo nulla di nuovo da dire. Ma i casi irrisolti attirano in maniera morbosa molto più di quelli dove l’assassino ha un nome certo, infatti gli omicidi di Jack lo Squartatore sono assurti a notorietà mondiale proprio grazie all’inafferrabilità del criminale. Il dubbio alimenta le supposizioni, ognuno può dire la sua in un proliferare senza controllo di “chiacchiere da bar” e illudersi di sentirsi importante per qualche momento. Ogni volta che tengo una lezione da qualche parte, mi sento chiedere se Alberto Stasi è colpevole oppure no, chi ha ucciso Meredith a Perugia, e quando c’era il processo alla Franzoni tutti mi chiedevano se pensavo che fosse colpevole o innocente e così via. E a me verrebbe da chiedere a mia volta: ma che ve ne importa se tizio è colpevole oppure no? Ma davvero non avete niente di meglio da fare nella vostra vita? Ma il circo deve continuare e poi, altrimenti, i “criminologi da salotto” non potrebbero più appoggiare i loro deretani sulle comode poltrone degli studi televisivi e sarebbero costretti a stare piegati sulla scrivania a studiare e documentarsi seriamente. Lo spettacolo deve andare avanti..."

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