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mercoledì 18 giugno 2014

IL caso Motta Visconti. Chi agisce, sceglie.

Mi dispiace che ci debbano rimettere la vita donne e bambini innocenti per dimostrare che viviamo in una società menzognera, che cancella sistematicamente e mistifica ciò che risulta scomodo.
Se non sono bastati centinaia di femminicidi ogni anno per evidenziare ciò che puntualmente viene rimosso, il caso della strage familiare di Motta Visconti ha, ancora una volta, dimostrato che:

1) La disoccupazione non è la causa del femminicidio e del figlicidio: l'assassino aveva un lavoro sicuro in una multinazionale.

2) L'ignoranza non è una causa del femminicidio e del figlicidio: l'assassino è laureato.

3) La provocazione non è la causa del femminicidio: non c'era stata alcuna lite precedente. Non si può tirare in ballo il pretestuoso ed inesistente “raptus”. Il triplice delitto è frutto di gelida premeditazione.

4) Il rifiuto dell'atto sessuale non è la causa del femminicidio: l'assassino ha persino ingannato ed usato la vittima facendoci sesso prima di pugnalarla. Forse per tranquillizzarla o per depistare le indagini. La vittima è stata ingannata ed utilizzata prima di essere eliminata.


5) Non è un'altra donna ad essere causa del femminicidio: l'assassino era solo invaghito di una povera collega, estraea ai fatti e disinteressata completamente a lui.

6) il femminicidio non è un atto passionale: ci sono motivazioni lucide, grette, vili e spesso d'interesse economico a muovere le mani degli assassini di donne. Talvolta quella motivazione meschina si chiama "onore" e riguarda la tutela dell'immagine di un uomo nel contesto patriarcale, nel consesso dei patriarchi. Riguarda la sua immagine sociale, la sua accettazione sociale nell'ambiente maschilista.
Essere lasciati o rifiutati da una donna diventa un motivo di vergogna, un'onta da lavare nel sangue e non si può accettare che altri uomini "usino" la stessa donna che si era scelta. La scelta maschile è anteposta alla volontà della donna, che per questo risulta oggettificata.  

Pensiamo a come  “il branco”  (inteso come insieme della massa maschilista, nella fattispecie, italiana) abbia coniato  il termine colloquiale di “sfigato” per etichettare un uomo letteralmente privo della disponibilità di organi genitali femminili da utilizzare e quindi un perdente.  Un perdente agli occhi dei propri simili. Se hai “figa” sei uno “tosto”, un “duro”, un leader.  Sottilineo: se hai “figa”, cioè se riesci in un modo o in un altro ad accedere ai genitali femminili.
Non sei un leader se hai meritato l’amore di una donna, la sua amicizia disinteressata o la sua stima. La donna non esiste se non come bersaglio, deambulatore e custode di “figa”.
Le donne che abbiano troncato una relazione o rifiutato il corteggiamento di un uomo che ancora viva secondo queste regole, relegandolo alla posizione di “sfigato” diventano le colpevoli della sua degradazione nel branco e punirle con la violenza rappresenta una sorta di redenzione e di restauro dell’autorità superiore.
La donna diventa un mezzo di competizione indiretta tra uomini poco evoluti ed un mezzo per evitare lo scontro diretto, la competizione diretta tra simili. Chi ha più donne e le donne più belle vince. Una specie di “Giochi senza frontiere” basato su cinismo e discriminazione.
E questa visione primordiale e al tempo stesso innaturale (perché in natura i maschi delle altre specie competono direttamente e non si alleano tra loro ai danni delle femmine della stessa specie né le usano per competere indirettamente) è socialmente accettata e condivisa in maniera pressoché plebiscitaria.

L'assassino non solo ribadisce il suo essere soggetto ma si arroga un potere superiore di decidere della vita e della morte di un'altra persona, potere che considera gli spetti di diritto come uomo sulla "sua" donna, donna che diventa "sua" quando "opzionata", scelta, quindi si pone come un dio nei confronti di quella persona. Il femminicidio è la denuncia di uno squilibrio di potere giustificato e motivato dal ruolo di comando dato al maschile dal patriarcato.

Questo è il motivo per cui siamo quasi tutte in preda all'ansia quando un uomo ci ha "scelte", ha posato i suoi occhi su di noi e non sappiamo se abbiamo a che fare con un essere evoluto. Quella per un primordiale diventa già la deprivazione del diritto della donna all'autonomia e non sarà facile fargli capire come dovrebbero stare davvero le cose. Non è facile anche perché la voce delle vittime è indebolita dalle troppe voci reazionarie, che tendono a fare di colui che avanza pretese un soggetto debole da proteggere, una sorta di bambino deluso per non avere ottenuto il suo premio, la sua gratificazione.

Se pensate che stia esagerando, considerate gli oltre duecentomila iscritti ad una pagina su Facebook messa insieme per fungere da vendetta morale contro donne che hanno rifiutato corteggiatori. Se scegliere fosse un diritto riconosciuto al genere femminile, simili exploit non esisterebbero e non avrebbero un tale seguito.

Talvolta, invece, quella motivazione meschina richiama l'incapacità di assumersi responsabilità familiari, quella stessa famiglia che il patriarcato vuole si poggi tutta sulle spalle delle donne, e richiama l'interesse economico di conservare tutto il patrimonio familiare per sé, prendendosi anche i guadagni delle mogli. In questo caso specifico e in molti altri, evitandosi anche il peso del mantenimento dei figli. Il divorzio costringe a tutelare tutte le parti della famiglia. A chi si sente un padrone non può piacere tutto ciò che lo costringe al rispetto dei diritti altrui.
Ma non c'è nessuno che denunci la pericolosità di certa disinformazione sul divorzio e come i movimenti maschilisti, che sono campioni di diffusione di bufale e giustificazionismo, siano in realtà tremendi motivatori per futuri assassini.

7) Per alcuni padri, non pochi purtroppo, i figli sono un peso, non un investimento. Ma non si leggono mai predicozzi cattolici o conservatori sulla volatilità di questi uomini davanti ai propri doveri familiari. Lo scrivo alla luce di dati oggettivi come le percentuali ISTAT di padri che non corrispondono il mantenimento ai figli (ben il 75%) e inchieste giornalistiche sui relativi processi che dimostrano che nella maggioranza dei casi gli insolventi sono tali perché non vogliono pagare e non perché non possano farlo.
L’assassino alla domanda “Perché non hai chiesto il divorzio” ha candidamente ammesso che “i bambini sarebbero rimasti”.  I bambini erano una responsabilità, un peso, un ostacolo ad una vita di divertimenti.
Eppure  resiste ancora chi fa di quest’uomo, senza altro amore che quello per se stesso, una specie di campione per i padri separati. Brrr, che pessimo esempio!

Tirando le somme, la presenza della collega di cui si era invaghito era del tutto accidentale. Un dettaglio che in una società sana sarebbe stato preso a malapena in considerazione e che, invece, in una società maschilista viene lanciato nelle fauci di commentatori e commentatrici, incapaci di giudicare indipendentemente dal rigido moralismo patriarcale.
Avrebbe potuto esserci stata lei come obiettivo ma anche cento altre donne. Potevano esserci state cento altre donne prima di lei ma i giornalisti hanno scritto come se per loro Carlo Lissi fosse nato un mese prima dei fatti.
Non è il primo uomo che si libera della moglie perché gli è di ostacolo verso la conquista di altre donne. Purtroppo non sarà neppure l’ultimo.
Barbablù non è un mito femminista ma mi fa utile ricordarvelo.  Il sistema è molto in voga in medio-oriente e generalmente in tutto il mondo. Di cosa ci si stupisce, tutt’ad un tratto?

Carlo Lissi si sentiva, in poche parole, uno “sfigato”. Non aveva vocazione familiare e non ha avuto la forza di ammetterlo. Ammettere di non essere portato a fare il compagno e il padre gli avrebbe attirato addosso altre critiche, non dal branco ma dai suoi stessi familiari. Tra lui e la vita per la quale si sentiva tagliato c’era la possibilità di scelta. Quella che cronisti, commentatori e commentatrici non prendono in considerazione.

Lui quella possibilità di scelta l’ha pienamente esercitata. Ha avuto il tempo per pensarci, per porsi la questione etica del triplice assassinio.
Avrà avuto modo di ascoltare le proprie voci interiori, quelle voci metaforiche che tutt* noi sentiamo anche solo quando siamo colt* da un attacco di fame notturna e in lotta con buoni propositi e problemi di salute.
Ci avrà pensato prima di addormentarsi. Ci avrà pensato mentre andava al lavoro e mentre tornava.
Ci ha pensato, infatti, si è rilasciato da solo l’autorizzazione ad agire ed ha semplicemente selezionato il giorno giusto per portare a termine il suo piano. Ha inscenato una rapina nella speranza di passarla liscia e trasformarsi addirittura in una vittima, in un uomo che perde moglie e figli per mano dei rapinatori cattivi, un uomo da compatire. Ma i rapinatori stessi hanno la possibilità di scelta e proprio per questo inscenare una rapina è stato un passo falso. Davvero difficile che dei rapinatori uccidano per mera e gratuita crudeltà dei bambini incapaci di testimoniare. Davvero difficile che dei rapinatori scientemente si carichino di reati tali da mettere a rischio la loro intera “carriera”. Chi agisce, sceglie.


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